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IL NUOVO ACCORDO SULLA FORMAZIONE RSPP
2015-04-22

IL NUOVO ACCORDO SULLA FORMAZIONE RSPP

SarĂ  discussa oggi in Commissione Consultiva la bozza del nuovo Accordo relativo alla formazione di RSPP e ASPP, a quasi dieci anni dalla pubblicazione del primo, di fatto rimasto immutato fino a oggi.

Sarà discussa oggi in Commissione Consultiva la bozza del nuovo Accordo relativo alla formazione di RSPP e ASPP, a quasi dieci anni dalla pubblicazione del primo, di fatto rimasto immutato fino a oggi. Un’occasione importante per migliorare la formazione delle figure del sistema di prevenzione e protezione sui luoghi di lavoro. Ma anche per rimediare agli errori fatti in passato.

LA STORIA

Il percorso degli accordi sulla formazione di RSPP e ASPP nel nostro Paese, infatti, è cominciato con una denuncia alla Commissione Europea. Nel 2003, quando viene emanato il Decreto Legislativo 195, il quale introduce l’art. 8bis al decreto 626/1994 in ordine ai corsi di formazione, si aprono i tavoli di discussione che portano agli Accordi tra lo Stato e le Regioni così come li conosciamo oggi.
Il D.Lgs. 195/2003, frutto dell’esecuzione di una sentenza della Corte di Giustizia Europea (C-49/00) riguardante la trasposizione nella Legge italiana dell’art. 7 della Direttiva Quadro 89/391/CEE - gli Stati membri devono definire capacità e attitudini di cui devono disporre i lavoratori incaricati del sistema preventivo e protettivo - demandava alla Conferenza Stato-Regioni l’accordo sulla formazione RSPP.
Per due anni atteso e mai concluso, nel 2005 la Commissione Europea accoglie una denuncia nei confronti dello Stato italiano per l’abbondante ritardo sull’emanazione di una norma che gestisse la formazione di RSPP e ASPP. A gennaio dell’anno successivo l’accordo veniva reso pubblico tramite la Gazzetta Ufficiale. I tempi brevissimi di confronto e discussione tra Stato e Regioni, però, come era prevedibile, portarono a un testo impreciso e in alcuni passaggi persino auto contraddittorio, tanto che si impose in fretta la necessità di pubblicare quasi subito un secondo accordo sulle “linee interpretative” che chiarisse alcune delle disposizioni contenute nel documento relativo alla formazione di RSPP e ASPP.

LA REVISIONE

La decisione di rivedere l’accordo e di modificarlo, almeno parzialmente, nei suoi contenuti, deve pertanto corrispondere a una vera comunione di intenti, una vera collaborazione tra enti e esperti di settore, che sia in grado di portare reale innovazione e semplificazione, snellendo la comunicazione tra le parti chiamate in causa e responsabilizzando gli operatori più seri a discapito di quelli più furbi.
Certo, leggendo la bozza che sarà presentata oggi, è evidente come non comporti modifiche sostanziali rispetto alla norma attuale e come non tenga conto delle novità occorse nel mondo del lavoro negli ultimi dieci anni né tantomeno dei cambiamenti che il Jobs Act e la riforma costituzionale comporteranno nel prossimo futuro. Un approccio, questo, poco vincente che rischia di complicare il quadro normativo di riferimento emanando norme inconciliabili.
Quali potrebbero essere, dunque, gli spunti di riflessione utili per un reale miglioramento dell’accordo?

  • I soggetti formatori: enti e aziende di dubbia professionalità dovrebbero essere punite con la proibizione di erogare il servizio o l’allontanamento dal settore – si basti pensare alla grande confusione che hanno prodotto gli enti bilaterali. Importante, inoltre, sarebbe che i soggetti formatori fossero gli stessi per tutti gli accordi e che quindi venissero chiarite definitivamente le competenze di ciascuno di essi.
  • Accreditamenti alla Regione: dovrebbero essere uniformati,l poiché da una Regione all’altra differiscono anche di molto e spesso contraddicono il contenuto degli accordi – l’esempio più evidente è il caso di una società accreditata alla Regione alla quale viene per questo impedito di svolgere formazione on the job o presso cliente poiché non sono queste spazi riconosciuti. Sempre all’interno del contesto delle competenze delle Regioni, c’è da chiarire il loro reale raggio di influenza e controllo sul sistema preventivo, dal momento che le norme da queste emanate si applicano di fatto solo agli Enti Accreditati. Una complicazione che rende difficili le operazioni di controllo e verifica.
  • Gli enti bilaterali e gli organismi paritetici: andrebbero chiarite e definite le loro funzioni e competenze, attraverso l’applicazione di regole più ferree, affinché vengano eliminate le sovrapposizioni di incarichi con altri istituti o la persistente confusione dei loro ruoli. • Gli organizzatori dei corsi: andrebbero responsabilizzati, demandando a loro il compito di custodire l’archivio cartaceo/elettronico di tutta la formazione erogata, così da non dover più ricorrere al traffico cospicuo e insicuro di dati attraverso i molteplici istituti. Una responsabilità che potrebbe essere semplificata dall’introduzione del tanto chiacchierato Libretto Formativo.
  • Introduzione di un sistema ispettivo unico: la responsabilizzazione degli enti organizzatori dei corsi di formazione dovrebbe avere come conseguenza l’introduzione di un sistema di verifica che ne controlli le attività. Un ruolo che potrebbe appartenere all’Inail oppure alla futura Agenzia Unica per la SSL. Questo consentirebbe di riportare il controllo alla fonte, riducendo i rischi di errore e malizie prima che venga avviata la filiera della formazione ed evitando che l’ispezione ricada sul lavoratore – ultimo fruitore del servizio.
  • I requisiti dei docenti: tutti i docenti devono essere in possesso dei requisiti di cui al Decreto Interministeriale 6 marzo 2013 ed essere quindi qualificati per tutti i corsi previsti dal D.Lgs. 81/08. In questo modo si evitano situazioni paradossali come quella attuale che impone al docente di un corso per RSPP di essere qualificato, ma che non richiede le stesse certificazioni a un docente di un corso per Coordinatori della Sicurezza.
  • L’articolazione dei corsi: l’allegato V dell’accordo è molto ricco e abbondante di informazioni, ma spesso la sua portata di indicazioni metodologiche entra in contrasto con quanto scritto nell’accordo stesso. Sarebbe meglio, dunque, avere un unico documento che si concentri sulle caratteristiche dei corsi di formazione, che parta dal presupposto che alla base della formazione c’è il progetto formativo, che non può essere definito per legge, ma che deve essere redatto in funzione del bisogno formativo dell’utente finale.
  • L’apprendimento: dovrebbe essere valutato in itinere, con verifiche ricorrenti durante il percorso di formazione, e non con un unico quizzone finale o colloqui di pochi istanti.
  • Il libretto formativo: a dieci anni dall’entrata in vigore dell’accordo ancora il libretto non è concretamente disponibile. La revisione dell’accordo introduce un modello, che viene però demandato al solo Datore di Lavoro nei confronti dei suoi lavoratori, dirigenti e preposti, quando invece sarebbe più logico e semplice consegnarlo nelle mani del soggetto organizzatore del corso.
  • Il Datore di Lavoro: la sua posizione è paradossale, poiché è l’unico soggetto escluso dai corsi di formazione, ma è nelle sue mani che si concentrano le responsabilità degli adempimenti di legge. Sarebbe utile introdurre un breve modulo di formazione che quanto meno illustri ai DL quali sono i loro doveri e obblighi.
  • Le classi di laurea: è ancora poco chiaro quali percorsi universitari consentano al detentore del titolo di non frequentare corsi di formazione sulla Sicurezza e Salute sul Lavoro. A quanto dice la legge, sono considerati crediti per la formazione i titoli di laurea magistrale e specialistica: pertanto il laureato che vuole svolgere il ruolo di RSPP dovrà frequentare soltanto il MODULO C della relativa formazione. Questo criterio, però, esclude laureati che hanno studiato il sistema SSL e ne include invece altri che di Sicurezza e Salute nei Luoghi di Lavoro non conoscono molto. Un’idea sarebbe quella di considerare credito per la formazione aver sostenuto e superato almeno un esame in materia di SSL. In generale, comunque, gli esoneri e i Crediti Formativi sono da riformulare in toto.
  • E-learning: nella revisione dell’accordo rientrano alcune novità di carattere generale, ma che di fatto si limitano a descrivere situazioni già esistenti, non prospettive future. È chiaro che Internet non possa sostituire le lezioni tradizionali, ma sicuramente le nuove tecnologie possono affiancare il docente nell’erogazione della formazione affidando a materiali multimediali una efficace integrazione alla spiegazione frontale. Ad esempio, bisognerebbe cominciare a parlare dei nuovi sistemi MOOC (Massive Open Online Courses), piattaforme di formazione già ampiamente diffuse tra Stati Uniti e Nord Europa. E sicuramente bisognerà mettere mano alle indicazioni contenute nell’accordo, poiché spesso snaturano il significato e i modelli organizzativi della formazione e-learning – è sufficiente pensare alla distinzione tra verifiche in presenza e verifiche online, previste comunque solo per alcuni corsi di formazione e non per altri – nonché sui soggetti autorizzati a erogare formazione in modalità e-learning.
  • Attestati: perché non passare al formato elettronico? Sarebbe un ulteriore risparmio di risorse.
  • Numero di iscritti: è un altro aspetto da chiarire, poiché spesso è difficile interpretare il contenuto dell’accordo, che in alcuni punti si ripete e si contraddice in merito al limite massimo di presenze ad un corso di formazione.
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